Homepage Pierrot le fou.. il circolo Cinema Esedra Cinema Splendor I film Link    
         
 

Home
Su

i film

   
         
    Titolo del film: THE MILLONAIRE (Slumdog Millionaire)

Regia: Danny Boyle

Soggetto: Danny Boyle, Simon Beaufoy

Fotografia: Anthony Dod Mantle

Musica: A.R. Rahman / Canzoni: "Jai Ho" (di A.R. Rahman e Gulzar), "O Saya" (di A.R. Rahman e Maya Arulpragasam).

Interpreti: Dev Patel (Jamal Malik), Freida Pinto (Latika), Mia Inderbitzin (Adele), Anil Kapoor (Prem Kumar), Irfan Khan (Ispettore)

Genere, durata e nazionalità: Drammatico, 120', Gran Bretagna/Usa

   
         
    Film Vincitore di 8 Premi Oscar

MIGLIOR FILM

MIGLIOR REGIA - Danny Boyle

MIGLIOR FOTOGRAFIA - Anthony Dod Mantle

MIGLIOR MONTAGGIO - Chris Dickens

MIGLIOR COLONNA SONORA - A.R. Rahman

MIGLIOR CANZONE ORIGINALE - "Jai Ho" di A.R. Rahman e Sampooran Singh Gulzar

MIGLIOR MISSAGGIO DEL SUONO - Ian Tapp, Richard Pryke e Resul Pookutty

MIGLIOR SCENEGGIATURA NON ORIGINALE - Simon Beaufoy

GOLDEN GLOBE 2009 PER MIGLIOR FILM DRAMMATICO, REGIA, SCENEGGIATURA E COLONNA SONORA.

   
         
       Danny Boyle a Roma per presentare The Millionaire

   Carola Proto - www.comingsoon.it

   Ci sono registi che difficilmente si allontanano da un genere cinematografico, soprattutto se per loro è stato garanzia di successo. Così lo sfruttano fino a impoverirlo, arrivando a padroneggiare perfettamente tecnica e meccanismi drammatici, ma perdendo la spontaneità, l’incoscienza e l’entusiasmo degli inizi. La paura di finire in questa trappola, scivolando in un cinema perfetto ma freddo, ha spinto Danny Boyle, in tanti anni di carriera, a tentare sempre nuove strade, anche a costo di deludere il suo pubblico, che sembra non avergli mai perdonato The Beach.

   Adesso però, il regista di Trainspotting è pronto conquistare ancora una volta il consenso internazionale grazie a un film che gli americani giurano di vedere premiato alla prossima edizione degli Oscar.

   Si tratta della favola indiana The Millionaire, che Boyle è venuto a presentare a Roma. Commentandone il successo oltreoceano, il regista ha subito chiarito: “Negli Stati Uniti il film è piaciuto perché, in fondo, racconta la storia di Rocky, che poi altro non è che la cronaca di un sogno che si avvera ”.  La corsa verso il successo e la notorietà di Jamal, un ragazzo di una baraccopoli di Mumbai che diventa una star della trasmissione televisiva Chi vuol esser milionario? ha effettivamente tutte le carte per far leva su una Hollywood che sempre più guarda a Bollywood e che si appresta a realizzare una serie di produzioni in India. Infatti, il paese di Ghandi e di Mira Nair, ci ha spiegato Danny Boyle, ha un fascino particolarissimo per tutti gli occidentali. Gli abbiamo chiesto in cosa consista esattamente questo fascino, e come l’esperienza del film gli abbia cambiato la vita, e lui ci ha risposto che, anche se non si ritiene un hippy (li detesta!) ma un ex punk, in India ha cambiato la percezione della propria esistenza lasciando da parte la paura della morte e la volontà di controllare le cose. “Mumbai è un coacervo di contraddizioni. La miseria convive con la ricchezza. Gli slum (le baraccopoli) sono vicinissimi ai grattacieli abitati dalle persone benestanti, ma a tutti va bene così. Se vuoi capire l’India, non devi cercare di risolvere i suoi contrasti, devi abbracciarli”.

   Girare negli slum non è stato facile per Boyle e la sua troupe. Era sconsigliabile, viste le dimensioni limitate delle baracche, introdurre pesanti macchine da presa, di fronte alle quali gli attori non professionisti avrebbero cominciato probabilmente a recitare in modo affettato, innaturale. Così, si è preferito ricorrere a piccole telecamere digitali. “Ovviamente non potevamo programmare nulla” – ha raccontato Boyle. “Dovevamo solo aspettare e fidarci, perché alla fine Mumbai ci ricompensava sempre, regalandoci qualcosa di inaspettato e sorprendente”. Per il regista, la Mumbai di The Millionaire doveva essere un po’ come la Londra dei romanzi di Charles Dickens:  una città sporca ma vivace, piena di uomini che distruggono e ricostruiscono, di gente che traffica, di altre piccole e brulicanti “sottocittà” ognuna con una sua precisa identità.

   A proposito di identità, è difficile catalogare The Millionaire all’interno di un genere. Danny Boyle lo colloca a metà fra la commedia e la tragedia, senza dimenticare la componente melodrammatica. “Il melodramma” – ha detto – “è il genere per eccellenza dei film indiani, ho voluto rispettare la tradizione e ho fatto in modo che Jamal partecipasse a Chi vuol esser milionario? per amore di una donna. Ho pensato che così sarei stato abbastanza romantico e melodrammatico, ma la gente del posto mi ha detto che in realtà avrei potuto calcare la mano molto di più”.

   In The Millionaire, il presentatore del quiz televisivo è interpretato da una vera e propria leggenda di Bollywood, Anil Kapoor. Boyle ci ha raccontato che ogni giorno centinaia di persone andavano sul set solo per ammirarlo e chiedergli l’autografo. Quando, a metà riprese, si è ammalato, qualcuno pregava di soffrire o morire al suo posto, affinché continuasse a lavorare. Nel film lo vediamo anche da giovane, mentre il piccolo Jamal gli corre incontro nei pressi di una latrina. “E’ la scena più bella e potente del film” – ci ha spiegato il regista – “perché esprime l’essenza dell’India. La sporcizia e la povertà che incontrano la gloria e il benessere … e poi sapete tutti che noi inglesi siamo fissati con le scene girate nei bagni. In ogni film inglese deve esserci almeno una scena in un bagno, non so perché, ma funziona così”.

   Prima di salutarci, Danny Boyle si è rammaricato dei recenti tragici eventi che si sono verificati in India. “Ci è dispiaciuto vedere gente che sparava sulla folla alla stazione Victoria Terminus, dove abbiamo ambientato importanti sequenze del film”.

   
         
       Carola Proto - www.comingsoon.it

   Per ammissione dello stesso regista Danny Boyle, The Millionaire ha tutte le caratteristiche di un film da Oscar: personaggi animati da forti passioni, un amore che sopravvive alla miseria e sconfigge la violenza, l’ambientazione esotica. La stessa storia raccontata – il ragazzo povero di una baraccopoli di Bombay che diventa una star del quiz televisivo "Chi vuol esser milionario?" - altro non è che l’ennesima variante di Rocky o di qualsiasi altra vicenda con protagonista un self-made man. Anche questo, come sappiamo, agli americani piace. Se si guarda infine all’impeccabile fotografia di Anthony Dod Mantle, che restituisce la liquidità dello sguardo di un bambino, la brillantezza di un sari, il fascino retrò di una stazione inglese, si potrebbe individuare nell’ultimo lavoro dell’autore di Trainspotting un’operazione a tavolino, un prodotto freddo, un film “ricattatorio” perché perfettamente consapevole delle emozioni suscitate e delle corde toccate.

   Ci piace pensare che le cose non stiano affatto così e che The Millionaire sia un profondo atto d’amore verso Bollywood e verso Bombay. Per capire The Millionaire forse basta lasciare da parte quell’atteggiamento smaliziato che troppo spesso toglie immediatezza alla fruizione di un’opera d’arte. Per capire il film, dobbiamo “abbracciarlo”, “accoglierlo”, nella sua miscela di culture antitetiche, nel suo continuo oscillare tra la favola e il dramma. In fondo è così che l’uomo occidentale dovrebbe avvicinarsi all’India, accettando i suoi contrasti, le sue contraddizioni. Il primo a farlo è stato proprio Danny Boyle, che si è intrufolato, con una troupe leggera, fra gli slums di Mumbai. Lo ha fatto senza programmare nulla, confidando unicamente nella magia di un luogo e di un popolo imprevedibili e spontanei. Di questo popolo il regista inglese sembra aver capito e rispettato i gusti cinematografici, accentuando a ragione i toni melodrammatici e non rinunciando al lieto fine. Di anglosassone, The Millionaire ha invece quel quiz televisivo – Chi vuol essere milionario?, appunto – che è nato proprio in Inghilterra e che poi è stato esportato in quasi tutti i paesi del mondo, e che viene raccontato con lucidità e intelligenza. Occidentale è anche l’impianto narrativo. La sceneggiatura, scritta da Simon Beaufoy (Full Monty), ha la complessità e l’originalità di tanti buoni film hollywoodiani. L’idea di legare a ogni domanda del quiz un episodio della vita di Jamal infatti è ottima, anche se alla lunga il meccanismo risulta ripetitivo.

   Vicina a noi, infine – e sembra un paradosso - è perfino Bombay, ripresa, mostrata e in parte ricostruita come la Londra di Charles Dickens, città smisurata che si sviluppa a un ritmo vertiginoso fra poveri sempre più poveri e ricchi sempre più ricchi. La vera meraviglia di The Millionaire, però, sono gli attori bambini che interpretano Jamal e suo fratello Salim da piccoli. Toccano a loro le scene più belle e commoventi del film, quelle in cui leggiamo la forza e l’amore per la vita di un popolo disgraziato che proprio in questi giorni sta vivendo una brutta pagina di storia.

   
         
   

   Andrea D'Addio - www.filmup.com

Aiuto del pubblico, 50 e 50, telefonata a casa. Sono gli aiuti a disposizione di chi si siede davanti al presentatore di "Chi vuol essere milionario?" con l’intenzione di arrivare il più in alto possibile, magari diventare proprio milionario. Li conosciamo tutti, inutile dirlo, il già solo citarli ci mette nella condizione di prepararci ad una buona dose di suspanse visto che si scommette non solo sulla risposta giusta, ma anche sulla cultura del partecipante.
In questo caso, seduto davanti al Gerry Scotti indiano è il poco più che ventenne Jamal, il protagonista del nuovo film di Danny Boyle.
Il regista inglese già autore di "Trainspotting" e "The Beach", fedele al motto "ogni volta che mi cimento con un genere diverso, mi sento come all’esordio e riesco a dare più freschezza al racconto", stavolta è infatti volato in India (dove non era mai stato) per girare una favola tanto indiana nell’anima, quanto occidentale nell’occhio. I dodici quiz che vengono proposti a Jamal per arrivare alla meta finale sono, infatti, l’occasione per conoscere la storia di questo ragazzo nato paria, scampato a mille traversie, e ora aspirante paperone. La vita di un ragazzo che ha fatto del ricongiungimento con la sua amata Latika la sua ragione di vita e che è pronto a sacrificare tutto sé stesso in nome dell’amore.
Boyle ci racconta tutto questo come un thriller, fa un abile uso del flashback e tiene sulle spine qualsiasi spettatore giocando sulla credibilità del personaggio anziché sulla sua cultura. Dentro c’è uno dei fondamenti della cultura indiana, il karma, il destino inteso come frutto delle azioni (positive) della persona, ma anche i colori e il melodramma indiano, quella Bollywood che stiamo conoscendo sempre più. Ne esce un ibrido culturale affascinante, ritmato, un intrattenimento che ben calibra humour e thrilling lasciando comunque spazio a riflessioni ad ampio raggio sulle condizioni disumane che tanti ragazzini (non solo indiani) si trovano a dover affrontare quando lo stato latita e intorno i grandi non si fanno tanti scrupoli. Chissà che non sia questa la sorpresa ai prossimi Academy awards.

 

   
         
   

   Emilio Marrese - Il Venerdì di Repubblica, 27 Novembre 2008

   Girato in India, il piccolo film The Millionaire è esploso negli Usa. Il regista inglese racconta la sua esperienza a Bollywood e svela un progetto. Provocatorio.
   Usa Today. . «Miracoloso», esagera íl Chicago Sun. Per il Time è «da non perdere». Secondo Rolling Stone si tratta di «uno dei migliori film dell'anno». II regista di Trainspotting, Danny Boyle, irrompe a sorpresa nella corsa all'Oscar con un piccolo film, The Millionaire, che negli Usa è già un caso e in Italia uscirà i15 dicembre per Lucky Red. È la storia di un ragazzo delle bidonville di Mumbai che vince una fortuna partecipando a Chi vuol essere milionario?. Boyle alterna con grande effetto il , tragico al comico, la cometedia al dramma, il documentario alla visione onirica, Capra a Scorsese, Dickens al musical. Il risultato è una favola arcobaleno.

   La frase chiave di Trainspotting era «scegli la vita». In The Millionaire, invece, è «il destino è scritto». E la domanda che viene posta agli spettatori è «credi nel fato?»: la sua risposta qual è?
«Prima di andare in India non conoscevo il concetto di destino, o perlomeno ne avevo uno semplicistico. Pensavo che fosse qualcosa che tiene legate le persone e in parte è vero, per quanto riguarda il sistema delle caste. Ma là ti rendi conto che il destino ha sfaccettature incredibili. Ho notato che i più fortunati sono sempre legati ai meno fortunati: non attraverso la carità, ma in modo più profondo. Inoltre sul set sono successe cose molto strane: il destino lavorava per noi».

   Un'esperienza mistica?
«Ho amato tantissimo quest'avventura. Mio padre era stato in India durante la guer
ra e io avevo sempre voluto andarci. Immaginavo fosse un posto straordinario, ma le sfide che devi affrontare vanno oltre ogni immaginazione. Ho imparato a buttar via tutto quel che pensavo e a tuffarmi nella città, assorbendola. Ho provato a raccontare una storia usando proprio la città, il rumore e il brulichio perenne della sua gente. Bisognava fidarsi e rinunciare a esercitare qualsiasi controllo, sennò dopo una settimana ci saremmo gettati da un ponte».

    Dopo l'esperienza infelice di The Beach con DiCaprio, s'è accorto di essere più adatto a Bollywood che ad Hollywood?
«Il contrasto è gigantesco. Per girare quel film avevo una troupe di un centinaio di persone, una specie di armata con cui invademmo quel pezzo di Thailandia. Anche se ho imparato molto da quel lavoro, non fu piacevole. A Mumbai avevo dieci elementi e una troupe locale molto esperta che ci ha facilitato».


    Pensa ancora che per un Oscar bisogna fare solo film seri?
«Di solito è così. Il successo del mio film, nonostante sia tanto distante da un film americano, in effetti è assurdo, ma credo che piaccia perché ha un grande cuore e i personaggi sono pieni di passione. Forse funziona perché il protagonista è il classico underdog/em>, il

   Lei frequenta generi sempre differenti: in questo film li ha mischiati tutti.
«Volevo tornare con qualcosa che avesse dentro tutti gli ingredienti di quel posto. Si stupiscono di come si passi dalla violenza più terribile sui bambini al balletto, ma è Mumbai che è così e vive di questi contrasti. Là gli estremi convivono e non si tende a separarli. Chi abita in un nuovo grattacielo non chiede che le baraccopoli attorno vengano abbattute. Quanto ai generi, mi piace partire sempre da zero perché credo che il miglior film di un regista sia sempre il primo: quando non si preoccupa di che genere sarà».

   Una volta tanto la tv non viene raccontata con disprezzo.
«In India quello show è qualcosa di colossale, lo conoscono tutti. Lo guardavo da casa e devo ammettere che dà dipendenza. In qualche modo reality e quiz hanno democratizzato la tv: la gente non vuole più solo subirla, ma farla. Come il protagonista sfrutta lo show per arrivare alla sua amata, anche io l'ho sfruttato come regista perché aiutasse il film. Scorsese dice che bisogna saper far passare di contrabbando le proprie idee e io sono un sostenitore di questa tecnica: bisogna usare mezzi all'apparenza impropri per far arrivare il messaggio. Quello show è stato il mio cavallo di Troia».

   Ora forse smetteranno di chiederle a quando il sequel di Trainspotting?
«In realtà l'ipotesi c'è. Lo vorrei farlo con gli stessi attori invecchiati di una generazione, il problema è che non lo sono ancora. Non mi va di fare Trainspotting 2 solo per soldi, vorrei qualcosa di diverso e provocatorio. Sarebbe ironico ritrovare quei personaggi, che si credevano eterni e invincibili, nella mezza età».

   
         
       Marzia Gandolfi - www.mymovies.it

   Una domanda e venti milioni di rupie separano Jamal Malik da Latika, amore infantile e mai dimenticato. Dopo averla incontrata, persa, ritrovata e perduta di nuovo Jamal, un diciottenne cresciuto negli slum di Mumbai, partecipa all'edizione indiana di “Chi vuol essere Milionario” per rivelarsi alla fanciulla e riscattarla (con la vincita) dalla “protezione” di un pericoloso criminale. L'acquisita popolarità mediatica, la scalata trionfale al milione e alle caste sociali infastidiscono il vanesio conduttore che cerca di boicottarne la vittoria, ingannandolo e facendolo arrestare. Sospettato di avere imbrogliato e torturato inutilmente, Jamal rivelerà al commissario di polizia soltanto la verità: conosceva le risposte perché ciascuna di quelle domande ha interrogato la sua straordinaria vita, devota a Latika e votata all'amore.
I personaggi del cinema di Danny Boyle contemplano tutti una magnifica ossessione, correndo a perdifiato per realizzarla. Il consumo di eroina, di sterline, di sole o di amore crea ai suoi boys una forte dipendenza e il bisogno impellente di averne ancora. Dopo i tossici friends di Trainspotting e dopo le odissee solari, dopo le spiagge incontaminate e dopo le sterline piovute dal cielo, il regista scozzese entra nello studio televisivo di Mumbai per osservare la vita di Jamal Malik, fino a svelarla nelle domande, fino a comprenderla nelle risposte. Jamal è il protagonista di una favola mediatica in cui si avverano i desideri dell'uomo indiano comune (e non solo).
Padroneggiando l'estetica e il “fondamentalismo” melodrammatico del cinema bollywoodiano, Doyle mette in scena un eroe virtuoso che (da tradizione) sconfigge il male e salva i deboli senza dimenticare di mostrare le fratture presenti nella società indiana, prodotte da un sistema nel quale sopravvivono forti disuguaglianze. Jamal è un ragazzo comune che decide di agire alla propria condizione di impotenza spalleggiato dal fratello maggiore Salim, un “angryyoung man” alla Amitabh Bachchan dotato di carisma e potere. Duro, vendicativo e leale come l'idolo del cinema indiano degli anni Settanta, Salim è un delinquente di buon cuore che ha scelto la strada del crimine per reagire ai soprusi della metropoli.
Nella Mumbai della loro infanzia i “due moschettieri” sviluppano personalità opposte che determineranno destini profondamente diversi. Latika, tra loro, a unirli e a separarli, è da convenzione elemento femminile e decorativo la cui debolezza esalta la virilità maschile. Danny Boyle interpreta e utilizza con competenza la musica, un'altra componente essenziale del cinema popolare e della cultura indiana. Sostenuto dal ritmo e dalle note di Allah Rakha Rahman, uno dei più grandi compositori indiani di soundtracks, il regista usa le canzoni in funzione narrativa, lasciando che la musica si fonda con le immagini, sottolineando e guidando le emozioni. Autore versatile, che attraversa incolume generi ed estetiche, Danny Boyle gira un film che riposa nell'alternanza del suo fortissimo e del suo pianissimo, in quella brusca scansione tra dolly sconfinati e scontri di classe, assoli sentimentali e crudeltà brutali. Tra il volo di una stella in elicottero e il tuffo di un bambino nella latrina più sporca (e lirica) di tutta l'India.

   
         
   

   Roberto Nepoti - La Repubblica, 5 dicembre 2008

   È Mumbai, la metropoli indiana colpita dagli attentati terroristici dei giorni scorsi, il teatro di The Millionaire: il piccolo film che, dopo i successi ai festival di Telluride e Toronto, si sta segnalando come uno dei "casi" cinematografici della stagione. Un perfetto esempio di cinema "global": ambientazione nell' antica Bombay, giochi televisivi a premi, soggetto da classico melodramma ma incartato in un linguaggio dinamico e molto contemporaneo. Il centro narrativo è "Chi vuol essere milionario": proprio il format che conosciamo in versione italiana, identico svolgimento, uguale grafica e perfino stessa musica d' atmosfera. Centrando una risposta dopo l' altra, il diciottenne Jamal si sta avvicinando alla cifra massima di 20 milioni di rupie; tanto più favolosa per lui, che viene dalla baraccopoli di Mumbai e ha condotto una vita piena di sofferenze e umiliazioni. Ora Jamal ha dalla sua legioni di fan; ma ha contro Prem, il conduttore della trasmissione, che lo denuncia alla polizia per sospetta truffa. Mentre gli agenti lo interrogano, ricorrendo anche alla tortura, il ragazzo rivive in flashback gli episodi del proprio passato: in ognuno dei quali c' è il motivo per cui Jamal conosce le risposte alle domande del quiz. In flashback lo vediamo privato della madre negli scontri tra musulmani e indù; ridotto schiavo da un malvivente che manda i bambini a mendicare come Oliver Twist; in fuga col fratello Salim e una ragazzina, Latika, di cui resterà per sempre innamorato. L' anima melodrammatica della storia riguarda il fratello divenuto sicario di un bieco gangster, che si è preso come amante la ragazza. Per Jamal rispondere ai quiz non è questione di danaro, ma la condizione per ritrovare il suo amore. Lo sceneggiatore Simon Beaufoy ("Full Monty") è abile a cucire in un tutto coerente gli episodi del best-seller da cui il film è ricavato; quanto a Danny Boyle, l' eclettico e dotato ("Trainspotting", "28 giorni dopo") regista britannico ha buon fiuto e deve aver subodorato immediatamente che la patetica e romantica storia di Jamal era destinata al successo. Ben ritmato e appassionante, The Millionaire è anche un film astuto, smaliziato per come usa ingredienti di sicura presa, ma niente affatto banale. A noi occidentali restituisce un' immagine del "miracolo" indiano più articolata e convincente delle versioni correnti nei media: una dimensione dove improvvise fortune coabitano con la più tetra povertà e l' euforia del mercato senza regole va producendo danni irreversibili. Quanto all' accogliente metafora di "Chi vuol esser milionario", conosciamo da tempo il fenomeno dell' identificazione di tante persone nei quiz che dispensano denaro, rito di speranza e riscatto per chi dalla vita ha ricevuto molto poco. Non l' abbiamo mai percepita con tanta evidenza, però, come qui, dove i telespettatori adoranti sono i veri dannati della Terra, prigionieri di un' esistenza di miseria e disperazione.

   
         
   

   Fabio Ferzetti - Il Messaggero, 5 dicembre 2008

   Una strepitosa commedia francese tutta eccessi ed eccentricità (Racconto di Natale). Una commedia inglese acida e zuccherina, ilare e inquieta, come i single e gli scoppiati che la popolano (La felicità porta fortuna). Uno dei più bei film venuti dall'America dopo l'11 settembre (L'ospite inatteso). E un toccante Quattrocento colpi al femminile che rievoca la prima adolescenza della regista facendone una chiave d'accesso alla coscienza e alla vocazione artistica (Stella).
Non è il grande cinema d'autore che manca quest'anno a Natale. Speriamo solo che il grande pubblico premi titoli davvero eccezionali, troppo spesso considerati di nicchia. Fra i quali spicca, perché più facile e spettacolare ma non meno interessante, The Millionnaire di Danny Boyle. Capofila di un Occidente sempre più sedotto non dall'India millenaria ma dal suo cinema esagerato e rutilante nel quale si ritrovano tutti gli elementi dei grandi mélo di una volta, riattualizzati dallo sviluppo selvaggio del subcontinente indiano e dalle mostruose contraddizioni delle sue megalopoli. Ieri insomma la Londra di Dickens (o la Parigi di Eugène Sue), oggi la Mumbai di The Millionnaire. Dove può accadere che un piccolo "intoccabile" cresciuto nelle baraccopoli diventi ricchissimo partecipando al quiz tv "Chi vuol esser milionario?" (format internazionale + contesto esotico: cosa volere di più?). Difficile però accettare che il miserabile Jamal, ragazzo del tè in un call center (altro elemento esotico e familiare), possa conoscere le risposte a tutte quelle domande che mescolano astutamente mitologie locali e cultura pop occidentale.
Così il potente presentatore del quiz lo fa sequestrare e torturare dalla polizia (potere poliziesco e potere televisivo: altra accoppiata diffusa di questi tempi). E mentre lui risponde, la sua storia incredibile scorre impetuosa sotto i nostri occhi. Dall'infanzia, libera se non spensierata, nei vicoli di Bombay (poi Mumbai) alla morte della madre, uccisa in un'incursione di fanatici islamici. Dai giochi nelle discariche al reclutamento forzato in un'organizzazione che manda i ragazzini a cantare ed elemosinare (storpiando e accecando i meno intonati). Dalla fuga avventurosa sui treni che attraversano il paese, all'adolescenza paracriminale (il fratello, un duro, fa carriera). Tutto inseguendo la piccola Latiqa, salvata e perduta da bambina, e ritrovata adulta amante del boss. Con un gusto del mitico e del favoloso che rende davvero irresistibile questo concentrato di mille vite, virandolo in chiave quasi di commedia.
E genera diverse scene indimenticabili: su tutte l'impossibile incontro del piccolo Jamal, appena caduto in un pozzo nero, col divo più famoso di Bollywood, il leggendario Amithab Bachchan (l'oro e la merda: altri simboli universali). L'India è il nostro passato, si dice di solito. Chissà che non sia anche il nostro futuro.

   
         
   

   Alberto Castellano -Il Mattino, 6 dicembre 2008

   Danny Boyle, regista inglese segnalatosi nel 1996 con «Trainspotting», ha abbandonato temporaneamente l'Inghilterra per esplorare con il suo sguardo originale e trasgressivo l'India e in particolare Mumbai, teatro di recente di un sanguinoso attacco terroristico. Per raccontare la fragilità e le illusioni del sogno di diventare ricchi, alimentato da facili tentazioni e seduzioni mediatiche, Boyle ha pensato di mettere in cortocircuito le contraddizioni macroscopiche di una delle potenze economiche emergenti. «The Millionaire» parte da «chi vuol essere milionario?», quiz televisivo popolare in tutto il mondo (in Italia lo conduce Gerry Scotti) e dal romanzo dello scrittore indiano Vikas Swarup. E racconta una vicenda - paradossale ma al tempo stesso realistica - che dimostra la contagiosa dipendenza da un gioco a premi e il prezzo esistenziale che nascondono i sogni a occhi aperti». Il sognatore di turno, uno dei tanti il cui destino può cambiare in una sera grazie alle giuste risposte date alle domande di un quiz, è il ventenne cameriere Jamal, nato e cresciuto nei bassifondi di Bombay e rimasto orfano da bambino. Il giovane nella sua turbolenta vita ha vagabondato con il fratello e ha avuto a che fare con gangster, criminali e sfruttatori. Quando risponde correttamente alle 11 domande del gioco, nessuno crede che un ragazzo povero e senza istruzione sia capace di tanto, al punto che viene arrestato e picchiato dalla polizia perché sospettato di essere un impostore. In realtà, ogni argomento del quiz è legato a qualche episodio della sua vita, che viene rievocato in flashback appena la domanda del conduttore innesca in lui il ricordo. L'avventura del concorrente consente, quindi, a Boyle di descrivere la povertà dei bambini delle baraccopoli di Mumbai, la miseria che attanaglia una città sovrappopolata, e di prolungare il suo sguardo crudo e visionario su un'umanità drammaticamente globalizzata. Qualcuno ha definito «The Millionaire» una bella favola tra Bollywood e Frank Capra, ma l'autore tiene d'occhio anche il Dickens di «Oliver Twist» e le analisi del grande economista indiano Premio Nobel Amartya Sen sull'altra faccia (quella delle disuguaglianze sociali) del boom economico indiano.

   
         
       Roberto Silvestri - Il Manifesto, 5 dicembre 2008

   Tre bimbi (due fratellini e una loro amica) delle periferia senza futuro di Mumbay, orfani dopo un crudelissimo pogrom anti-musulmano, crescono e sopravvivono solo grazie all' università della strada, alla ferocia delle unghie e dei denti, all'indole autovalorizzante e a molta fortuna. In una scena, rubata ai Miserabili, a un loro piccolo collega cavano l'occhio, perché così l'elemosina fa più pietà. A un tratto le strade si dividono: chi entra nella mafia (il fratellino maggiore, subito attratto dalle colt), chi verrà addestrata alla prostituzione di lusso, e chi, come l'eroe del film, generoso, innamorato e coraggioso come un divo di Bollywood, vincerà «Il milionario» lo spettacolo televisivo di prima serata a quiz (ormai è il tormentone planetario obbligatorio) che gli vale 20 milioni di rupie, l'odio eterno del presentatore che cerca in ogni modo - umiliandolo, imbrogliandolo e consegnandolo alla polizia che anche lì ha appreso da Bolzaneto - di sbarazzarsi di chi fà eccessiva ombra. E infine l'amore, sancito da un balletto corale alla stazione del metro, stile Michael Jackson-Bollywood. Infatti il ragazzo risolve, uno dopo l'altro, tutti i quiz del programma e diventa l'«idolo di tutti i disperati dell'India, anche hindu». Conosce ogni risposta (o con astuzia le azzecca) perché le ha apprese, e ad alto costo, on the road: dal nome della più popolare star del cinema a cui strappò l'autografo più impossibile di tutti (nonostante fosse completamente immerso nella merda), a chi è il campione di cricket che ha segnato più punti (il beniamino del boss, che aveva assassinato per amore), al celebre poeta di cui cantava le canzoni più struggenti.... L'uscita in quasi contemporanea del film di Boyle (formalmente meno isterico di Trainspotting) con l'azione militare suicida di Mumbay-Bombay (anche il famoso cinema Metro è stato colpito dai furiosi iconoclasti) è sorprendente, perché anche qui ci si rende conto della grande potenza di fuoco delle organizzazioni mafiose, che avrebbero aiutato i martiri del Kashimir. Bambino e povertà? Certo è un cinebinomio famigerato. Quando la strumentalizzazione dell'infanzia, dalle devastanti potenzialità emotive, diventa il fine e non un mezzo per raccontare una storia. Per fortuna Boyle affida la parte meno sorprendente del film alle avventure dei disperati «senza famiglia». Dopo si affida alla «scala diatonica» ascendente occidentale per tenere in struttura il dramma. Certo, la musica indiana è più libera. Ma siamo nella globalizzazione, bellezza.

   
         
   

   Maurizio Porro - Il Corriere della Sera, 5 dicembre 2008

   Danny Boyle, il regista di Manchester di «Trainspotting» e «Sunshine» fa una mossa d' autore fantascientifica e gira il suo primo film in India, a cavalcioni tra l' estrema povertà e l' esibita ricchezza, e fa centro per la genialità della struttura. «The millionaire» (sarebbe un milionario da slumdog, vita da cani) è un film originale, bifronte, speculare, in cui un ragazzo, umiliato e offeso dalla vita nei peggiori bassifondi di Mumbay, rischia di vincere 20 milioni di rupie a «Chi vuol esser milionario», quiz tv. Jamal è sospettato di truffa, arrestato, e subisce, nell' ordine surreale del montaggio, le domande della polizia e del presentatore. Ogni volta la sua mente, il suo cuore e la sua memoria corrono al passato, agli affetti traditi, all' amore perduto, alla mamma defunta e al fratello che ha scelto altra etica: finché arriva il gong. Scritto da Simon Beaufoy («The full monty»), tratto da «Le 12 domande» di Vikas Swarup (ed. Teadue), il film ha vinto a Toronto il premio del pubblico, sta facendo tutto esaurito in Usa e si mette in prima linea agli Oscar. A tutto questo ora si aggiunge, per destino - era scritto, dice l' ultima scena - la concomitanza della tragedia terrorista a Mumbay e proprio dalla stazione Victoria Terminus, dove è partito l' attentato, è ambientato il balletto finale in stile Bollywood per dire che la vita è tutto un quiz ma merita fiducia. Happy end a suo modo finto, virgolettato che chiude a cerchio una storia che Boyle racconta prima con la rabbia e l' impeto neorealista di chi scopre l' inferno a portata di mano e sguardo, gli slum Dharavi e Juhu, stile «Salaam Bombay», poi s' accomoda negli studi dove la vita è ovattata, virtuale: il denaro corruttore a portata di sogno. Infine si butta, dal trampolino sociale, su Frank Capra dopo aver mostrato un' infanzia da Oliver Twist. I significati stanno dentro gli stili, tutto diventa attuale pure per noi e il cast è di naturale sintonia anche se l' ottimo protagonista Dev Patel è l' unico «immigrato» preso dal serial «Skins» mentre gli altri vengono dalla strada, dai set indiani.

   
         
         
         
    Homepage Pierrot le fou.. il circolo Cinema Esedra Cinema Splendor I film Link