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		film 
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		|  |  |  | Titolo del film: 
		THE MILLONAIRE (Slumdog Millionaire) 
		Regia: 
		Danny Boyle 
		
		Soggetto: 
		Danny Boyle, Simon Beaufoy 
		Fotografia: 
		Anthony Dod Mantle 
		Musica: 
		A.R. Rahman / Canzoni: "Jai Ho" (di A.R. Rahman e Gulzar), "O Saya" 
		(di A.R. Rahman e Maya Arulpragasam).  
		Interpreti: 
		Dev Patel (Jamal Malik), Freida Pinto (Latika), 
		Mia Inderbitzin (Adele), Anil Kapoor (Prem Kumar), Irfan Khan 
		(Ispettore) Genere, durata e 
		nazionalità: Drammatico, 120', Gran 
		Bretagna/Usa |  |  | 
	
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		|  |  | Film Vincitore di 8 Premi Oscar 
		
		MIGLIOR FILM 
		
		MIGLIOR REGIA - Danny Boyle 
		
		MIGLIOR FOTOGRAFIA - Anthony Dod Mantle 
		
		MIGLIOR MONTAGGIO - Chris Dickens 
		
		MIGLIOR COLONNA SONORA - A.R. Rahman 
		
		MIGLIOR CANZONE ORIGINALE - "Jai Ho" di A.R. Rahman e Sampooran Singh 
		Gulzar 
		
		MIGLIOR MISSAGGIO DEL SUONO - Ian Tapp, Richard Pryke e Resul Pookutty 
		
		MIGLIOR SCENEGGIATURA NON ORIGINALE - Simon Beaufoy 
		GOLDEN GLOBE 
		2009 PER MIGLIOR FILM DRAMMATICO, REGIA, SCENEGGIATURA E COLONNA SONORA. |  |  | 
	
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		|  |  | Danny Boyle a Roma per presentare The 
		Millionaire 
		   Carola Proto - 
		www.comingsoon.it    Ci sono registi 
		che difficilmente si allontanano da un genere cinematografico, 
		soprattutto se per loro è stato garanzia di successo. Così lo sfruttano 
		fino a impoverirlo, arrivando a padroneggiare perfettamente tecnica e 
		meccanismi drammatici, ma perdendo la spontaneità, l’incoscienza e 
		l’entusiasmo degli inizi. La paura di finire in questa trappola, 
		scivolando in un cinema perfetto ma freddo, ha spinto Danny Boyle, 
		in tanti anni di carriera, a tentare sempre nuove strade, anche a costo 
		di deludere il suo pubblico, che sembra non avergli mai perdonato The 
		Beach.     Adesso però, il 
		regista di Trainspotting è pronto conquistare ancora una volta il 
		consenso internazionale grazie a un film che gli americani giurano di 
		vedere premiato alla prossima edizione degli Oscar.    Si tratta della 
		favola indiana The Millionaire, che Boyle è venuto a presentare a 
		Roma. Commentandone il successo oltreoceano, il regista ha subito 
		chiarito: “Negli Stati Uniti il film è piaciuto perché, in fondo, 
		racconta la storia di Rocky, che poi altro non è che la cronaca di un 
		sogno che si avvera ”.  La corsa verso il successo e la 
		notorietà di Jamal, un ragazzo di una baraccopoli di Mumbai che diventa 
		una star della trasmissione televisiva Chi vuol esser milionario? ha 
		effettivamente tutte le carte per far leva su una Hollywood che sempre 
		più guarda a Bollywood e che si appresta a realizzare una serie di 
		produzioni in India. Infatti, il paese di Ghandi e di Mira Nair, ci ha 
		spiegato Danny Boyle, ha un fascino particolarissimo per tutti 
		gli occidentali. Gli abbiamo chiesto in cosa consista esattamente questo 
		fascino, e come l’esperienza del film gli abbia cambiato la vita, e lui 
		ci ha risposto che, anche se non si ritiene un hippy (li detesta!) ma un 
		ex punk, in India ha cambiato la percezione della propria esistenza 
		lasciando da parte la paura della morte e la volontà di controllare le 
		cose. “Mumbai è un coacervo di contraddizioni. La miseria convive con 
		la ricchezza. Gli slum (le baraccopoli) sono vicinissimi ai grattacieli 
		abitati dalle persone benestanti, ma a tutti va bene così. Se vuoi 
		capire l’India, non devi cercare di risolvere i suoi contrasti, devi 
		abbracciarli”.    Girare negli slum 
		non è stato facile per Boyle e la sua troupe. Era sconsigliabile, viste 
		le dimensioni limitate delle baracche, introdurre pesanti macchine da 
		presa, di fronte alle quali gli attori non professionisti avrebbero 
		cominciato probabilmente a recitare in modo affettato, innaturale. Così, 
		si è preferito ricorrere a piccole telecamere digitali. “Ovviamente 
		non potevamo programmare nulla” – ha raccontato Boyle. “Dovevamo 
		solo aspettare e fidarci, perché alla fine Mumbai ci ricompensava 
		sempre, regalandoci qualcosa di inaspettato e sorprendente”. Per il 
		regista, la Mumbai di The Millionaire doveva essere un po’ come 
		la Londra dei romanzi di Charles Dickens:  una città sporca ma vivace, 
		piena di uomini che distruggono e ricostruiscono, di gente che traffica, 
		di altre piccole e brulicanti “sottocittà” ognuna con una sua precisa 
		identità.    A proposito di 
		identità, è difficile catalogare The Millionaire all’interno di 
		un genere. Danny Boyle lo colloca a metà fra la commedia e la 
		tragedia, senza dimenticare la componente melodrammatica. “Il 
		melodramma” – ha detto – “è il genere per eccellenza dei film 
		indiani, ho voluto rispettare la tradizione e ho fatto in modo che Jamal 
		partecipasse a Chi vuol esser milionario? per amore di una donna. Ho 
		pensato che così sarei stato abbastanza romantico e melodrammatico, ma 
		la gente del posto mi ha detto che in realtà avrei potuto calcare la 
		mano molto di più”.    In The 
		Millionaire, il presentatore del quiz televisivo è interpretato da 
		una vera e propria leggenda di Bollywood, Anil Kapoor. Boyle 
		ci ha raccontato che ogni giorno centinaia di persone andavano sul set 
		solo per ammirarlo e chiedergli l’autografo. Quando, a metà riprese, si 
		è ammalato, qualcuno pregava di soffrire o morire al suo posto, affinché 
		continuasse a lavorare. Nel film lo vediamo anche da giovane, mentre il 
		piccolo Jamal gli corre incontro nei pressi di una latrina. “E’ la 
		scena più bella e potente del film” – ci ha spiegato il regista – “perché 
		esprime l’essenza dell’India. La sporcizia e la povertà che incontrano 
		la gloria e il benessere … e poi sapete tutti che noi inglesi siamo 
		fissati con le scene girate nei bagni. In ogni film inglese deve esserci 
		almeno una scena in un bagno, non so perché, ma funziona così”.    Prima di 
		salutarci, Danny Boyle si è rammaricato dei recenti tragici 
		eventi che si sono verificati in India. “Ci è dispiaciuto vedere gente 
		che sparava sulla folla alla stazione Victoria Terminus, dove abbiamo 
		ambientato importanti sequenze del film”.
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		|  |  | Carola Proto - 
		www.comingsoon.it    
		Per ammissione dello stesso regista Danny Boyle,
		The Millionaire ha tutte le caratteristiche di 
		un film da Oscar: personaggi animati da forti passioni, un amore che 
		sopravvive alla miseria e sconfigge la violenza, l’ambientazione 
		esotica. La stessa storia raccontata – il ragazzo povero di una 
		baraccopoli di Bombay che diventa una star del quiz televisivo "Chi vuol 
		esser milionario?" - altro non è che l’ennesima variante di 
		Rocky o di qualsiasi altra vicenda con protagonista un 
		self-made man. Anche questo, come sappiamo, agli americani piace. 
		Se si guarda infine all’impeccabile fotografia di Anthony Dod 
		Mantle, che restituisce la liquidità dello sguardo di un 
		bambino, la brillantezza di un sari, il fascino retrò di una stazione 
		inglese, si potrebbe individuare nell’ultimo lavoro dell’autore di
		Trainspotting un’operazione a tavolino, un 
		prodotto freddo, un film “ricattatorio” perché perfettamente consapevole 
		delle emozioni suscitate e delle corde toccate.     Ci piace pensare che le cose non 
		stiano affatto così e che The Millionaire sia 
		un profondo atto d’amore verso Bollywood e verso Bombay. Per capire
		The Millionaire forse basta lasciare da parte 
		quell’atteggiamento smaliziato che troppo spesso toglie immediatezza 
		alla fruizione di un’opera d’arte. Per capire il film, dobbiamo 
		“abbracciarlo”, “accoglierlo”, nella sua miscela di culture antitetiche, 
		nel suo continuo oscillare tra la favola e il dramma. In fondo è così 
		che l’uomo occidentale dovrebbe avvicinarsi all’India, accettando i suoi 
		contrasti, le sue contraddizioni. Il primo a farlo è stato proprio
		Danny Boyle, che si è intrufolato, con una troupe 
		leggera, fra gli slums di Mumbai. Lo ha fatto senza programmare nulla, 
		confidando unicamente nella magia di un luogo e di un popolo 
		imprevedibili e spontanei. Di questo popolo il regista inglese sembra 
		aver capito e rispettato i gusti cinematografici, accentuando a ragione 
		i toni melodrammatici e non rinunciando al lieto fine. Di anglosassone, 
		The Millionaire ha invece quel quiz televisivo 
		– Chi vuol essere milionario?, appunto – che è nato proprio in 
		Inghilterra e che poi è stato esportato in quasi tutti i paesi del 
		mondo, e che viene raccontato con lucidità e intelligenza. Occidentale è 
		anche l’impianto narrativo. La sceneggiatura, scritta da 
		Simon Beaufoy (Full Monty), ha 
		la complessità e l’originalità di tanti buoni film hollywoodiani. L’idea 
		di legare a ogni domanda del quiz un episodio della vita di Jamal 
		infatti è ottima, anche se alla lunga il meccanismo risulta ripetitivo.    Vicina a noi, infine – e sembra un 
		paradosso - è perfino Bombay, ripresa, mostrata e in parte ricostruita 
		come la Londra di Charles Dickens, città smisurata che si sviluppa a un 
		ritmo vertiginoso fra poveri sempre più poveri e ricchi sempre più 
		ricchi. La vera meraviglia di The Millionaire, 
		però, sono gli attori bambini che interpretano Jamal e suo fratello 
		Salim da piccoli. Toccano a loro le scene più belle e commoventi del 
		film, quelle in cui leggiamo la forza e l’amore per la vita di un popolo 
		disgraziato che proprio in questi giorni sta vivendo una brutta pagina 
		di storia.  |  |  | 
	
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		Andrea D'Addio - www.filmup.com Aiuto del pubblico, 50 e 50, 
		telefonata a casa. Sono gli aiuti a disposizione di chi si siede davanti 
		al presentatore di "Chi vuol essere milionario?" con l’intenzione di 
		arrivare il più in alto possibile, magari diventare proprio milionario. 
		Li conosciamo tutti, inutile dirlo, il già solo citarli ci mette nella 
		condizione di prepararci ad una buona dose di suspanse visto che si 
		scommette non solo sulla risposta giusta, ma anche sulla cultura del 
		partecipante.In questo caso, seduto davanti al Gerry Scotti indiano è il poco più che 
		ventenne Jamal, il protagonista del nuovo film di Danny Boyle.
 Il regista inglese già autore di "Trainspotting" e "The Beach", fedele 
		al motto "ogni volta che mi cimento con un genere diverso, mi sento come 
		all’esordio e riesco a dare più freschezza al racconto", stavolta è 
		infatti volato in India (dove non era mai stato) per girare una favola 
		tanto indiana nell’anima, quanto occidentale nell’occhio. I dodici quiz 
		che vengono proposti a Jamal per arrivare alla meta finale sono, 
		infatti, l’occasione per conoscere la storia di questo ragazzo nato 
		paria, scampato a mille traversie, e ora aspirante paperone. La vita di 
		un ragazzo che ha fatto del ricongiungimento con la sua amata Latika la 
		sua ragione di vita e che è pronto a sacrificare tutto sé stesso in nome 
		dell’amore.
 Boyle ci racconta tutto questo come un thriller, fa un abile uso del 
		flashback e tiene sulle spine qualsiasi spettatore giocando sulla 
		credibilità del personaggio anziché sulla sua cultura. Dentro c’è uno 
		dei fondamenti della cultura indiana, il karma, il destino inteso come 
		frutto delle azioni (positive) della persona, ma anche i colori e il 
		melodramma indiano, quella Bollywood che stiamo conoscendo sempre più. 
		Ne esce un ibrido culturale affascinante, ritmato, un intrattenimento 
		che ben calibra humour e thrilling lasciando comunque spazio a 
		riflessioni ad ampio raggio sulle condizioni disumane che tanti 
		ragazzini (non solo indiani) si trovano a dover affrontare quando lo 
		stato latita e intorno i grandi non si fanno tanti scrupoli. Chissà che 
		non sia questa la sorpresa ai prossimi Academy awards.
 
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		Emilio Marrese - Il Venerdì di 
		Repubblica, 27 Novembre 2008    
		
		
		Girato in India, il piccolo film The Millionaire è esploso 
		negli Usa. Il regista inglese racconta la sua esperienza a Bollywood e 
		svela un progetto. Provocatorio.Usa Today. . «Miracoloso», esagera íl Chicago 
		Sun. Per il Time è «da non perdere». Secondo Rolling 
		Stone si tratta di «uno dei migliori film dell'anno». II regista di
		Trainspotting, Danny Boyle, irrompe a sorpresa nella corsa 
		all'Oscar con un piccolo film, The Millionaire, che negli Usa è 
		già un caso e in Italia uscirà i15 dicembre per Lucky Red. È la storia 
		di un ragazzo delle bidonville di Mumbai che vince una fortuna 
		partecipando a Chi vuol essere milionario?. Boyle alterna con 
		grande effetto il , tragico al comico, la cometedia al dramma, il 
		documentario alla visione onirica, Capra a Scorsese, Dickens al musical. 
		Il risultato è una favola arcobaleno.
    La frase chiave 
		di Trainspotting era «scegli la vita». In The Millionaire, 
		invece, è «il destino è scritto». E la domanda che viene posta agli 
		spettatori è «credi nel fato?»: la sua risposta qual è?«Prima di andare in India non conoscevo il concetto di destino, o 
		perlomeno ne avevo uno semplicistico. Pensavo che fosse qualcosa che 
		tiene legate le persone e in parte è vero, per quanto riguarda il 
		sistema delle caste. Ma là ti rendi conto che il destino ha 
		sfaccettature incredibili. Ho notato che i più fortunati sono sempre 
		legati ai meno fortunati: non attraverso la carità, ma in modo più 
		profondo. Inoltre sul set sono successe cose molto strane: il destino 
		lavorava per noi».
    Un'esperienza 
		mistica? «Ho amato tantissimo quest'avventura. Mio padre era stato in India 
		durante la guer
 ra e io avevo sempre voluto andarci. Immaginavo fosse un posto 
		straordinario, ma le sfide che devi affrontare vanno oltre ogni 
		immaginazione. Ho imparato a buttar via tutto quel che pensavo e a 
		tuffarmi nella città, assorbendola. Ho provato a raccontare una storia 
		usando proprio la città, il rumore e il brulichio perenne della sua 
		gente. Bisognava fidarsi e rinunciare a esercitare qualsiasi controllo, 
		sennò dopo una settimana ci saremmo gettati da un ponte».
     Dopo 
		l'esperienza infelice di The Beach con DiCaprio, s'è accorto di 
		essere più adatto a Bollywood che ad Hollywood? «Il contrasto è gigantesco. Per girare quel film avevo una troupe di un 
		centinaio di persone, una specie di armata con cui invademmo quel pezzo 
		di Thailandia. Anche se ho imparato molto da quel lavoro, non fu 
		piacevole. A Mumbai avevo dieci elementi e una troupe locale molto 
		esperta che ci ha facilitato».
 Pensa ancora che per un Oscar bisogna fare solo 
		film seri?
 «Di solito è così. Il successo del mio film, nonostante sia tanto 
		distante da un film americano, in effetti è assurdo, ma credo che 
		piaccia perché ha un grande cuore e i personaggi sono pieni di passione. 
		Forse funziona perché il protagonista è il classico underdog/em>, il
 
		  
		Lei frequenta generi sempre differenti: in questo film li ha 
		mischiati tutti. «Volevo tornare con qualcosa che avesse dentro tutti gli ingredienti di 
		quel posto. Si stupiscono di come si passi dalla violenza più terribile 
		sui bambini al balletto, ma è Mumbai che è così e vive di questi 
		contrasti. Là gli estremi convivono e non si tende a separarli. Chi 
		abita in un nuovo grattacielo non chiede che le baraccopoli attorno 
		vengano abbattute. Quanto ai generi, mi piace partire sempre da zero 
		perché credo che il miglior film di un regista sia sempre il primo: 
		quando non si preoccupa di che genere sarà».
 
		  
		Una volta tanto la tv non viene raccontata con disprezzo.«In India quello show è qualcosa di colossale, lo conoscono tutti. Lo 
		guardavo da casa e devo ammettere che dà dipendenza. In qualche modo 
		reality e quiz hanno democratizzato la tv: la gente non vuole più solo 
		subirla, ma farla. Come il protagonista sfrutta lo show per arrivare 
		alla sua amata, anche io l'ho sfruttato come regista perché aiutasse il 
		film. Scorsese dice che bisogna saper far passare di contrabbando le 
		proprie idee e io sono un sostenitore di questa tecnica: bisogna usare 
		mezzi all'apparenza impropri per far arrivare il messaggio. Quello show 
		è stato il mio cavallo di Troia».
 
		  
		Ora forse smetteranno di chiederle a quando il sequel di 
		Trainspotting?«In realtà l'ipotesi c'è. Lo vorrei farlo con gli stessi attori 
		invecchiati di una generazione, il problema è che non lo sono ancora. 
		Non mi va di fare Trainspotting 2 solo per soldi, vorrei qualcosa di 
		diverso e provocatorio. Sarebbe ironico ritrovare quei personaggi, che 
		si credevano eterni e invincibili, nella mezza età».
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		|  |  | Marzia Gandolfi - www.mymovies.it 
		   Una domanda e venti milioni di rupie 
		separano Jamal Malik da Latika, amore infantile e mai dimenticato. Dopo 
		averla incontrata, persa, ritrovata e perduta di nuovo Jamal, un 
		diciottenne cresciuto negli slum di Mumbai, partecipa all'edizione 
		indiana di “Chi vuol essere Milionario” per rivelarsi alla fanciulla e 
		riscattarla (con la vincita) dalla “protezione” di un pericoloso 
		criminale. L'acquisita popolarità mediatica, la scalata trionfale al 
		milione e alle caste sociali infastidiscono il vanesio conduttore che 
		cerca di boicottarne la vittoria, ingannandolo e facendolo arrestare. 
		Sospettato di avere imbrogliato e torturato inutilmente, Jamal rivelerà 
		al commissario di polizia soltanto la verità: conosceva le risposte 
		perché ciascuna di quelle domande ha interrogato la sua straordinaria 
		vita, devota a Latika e votata all'amore. I personaggi del cinema di Danny Boyle contemplano tutti una magnifica 
		ossessione, correndo a perdifiato per realizzarla. Il consumo di eroina, 
		di sterline, di sole o di amore crea ai suoi boys una forte dipendenza e 
		il bisogno impellente di averne ancora. Dopo i tossici friends di 
		Trainspotting e dopo le odissee solari, dopo le spiagge incontaminate e 
		dopo le sterline piovute dal cielo, il regista scozzese entra nello 
		studio televisivo di Mumbai per osservare la vita di Jamal Malik, fino a 
		svelarla nelle domande, fino a comprenderla nelle risposte. Jamal è il 
		protagonista di una favola mediatica in cui si avverano i desideri 
		dell'uomo indiano comune (e non solo).
 Padroneggiando l'estetica e il “fondamentalismo” melodrammatico del 
		cinema bollywoodiano, Doyle mette in scena un eroe virtuoso che (da 
		tradizione) sconfigge il male e salva i deboli senza dimenticare di 
		mostrare le fratture presenti nella società indiana, prodotte da un 
		sistema nel quale sopravvivono forti disuguaglianze. Jamal è un ragazzo 
		comune che decide di agire alla propria condizione di impotenza 
		spalleggiato dal fratello maggiore Salim, un “angryyoung man” alla 
		Amitabh Bachchan dotato di carisma e potere. Duro, vendicativo e leale 
		come l'idolo del cinema indiano degli anni Settanta, Salim è un 
		delinquente di buon cuore che ha scelto la strada del crimine per 
		reagire ai soprusi della metropoli.
 Nella Mumbai della loro infanzia i “due moschettieri” sviluppano 
		personalità opposte che determineranno destini profondamente diversi. 
		Latika, tra loro, a unirli e a separarli, è da convenzione elemento 
		femminile e decorativo la cui debolezza esalta la virilità maschile. 
		Danny Boyle interpreta e utilizza con competenza la musica, un'altra 
		componente essenziale del cinema popolare e della cultura indiana. 
		Sostenuto dal ritmo e dalle note di Allah Rakha Rahman, uno dei più 
		grandi compositori indiani di soundtracks, il regista usa le canzoni in 
		funzione narrativa, lasciando che la musica si fonda con le immagini, 
		sottolineando e guidando le emozioni. Autore versatile, che attraversa 
		incolume generi ed estetiche, Danny Boyle gira un film che riposa 
		nell'alternanza del suo fortissimo e del suo pianissimo, in quella 
		brusca scansione tra dolly sconfinati e scontri di classe, assoli 
		sentimentali e crudeltà brutali. Tra il volo di una stella in elicottero 
		e il tuffo di un bambino nella latrina più sporca (e lirica) di tutta 
		l'India.
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		Roberto Nepoti - La Repubblica, 5 
		dicembre 2008     È Mumbai, la 
		metropoli indiana colpita dagli attentati terroristici dei giorni 
		scorsi, il teatro di The Millionaire: il piccolo film che, dopo i 
		successi ai festival di Telluride e Toronto, si sta segnalando come uno 
		dei "casi" cinematografici della stagione. Un perfetto esempio di cinema 
		"global": ambientazione nell' antica Bombay, giochi televisivi a premi, 
		soggetto da classico melodramma ma incartato in un linguaggio dinamico e 
		molto contemporaneo. Il centro narrativo è "Chi vuol essere milionario": 
		proprio il format che conosciamo in versione italiana, identico 
		svolgimento, uguale grafica e perfino stessa musica d' atmosfera. 
		Centrando una risposta dopo l' altra, il diciottenne Jamal si sta 
		avvicinando alla cifra massima di 20 milioni di rupie; tanto più 
		favolosa per lui, che viene dalla baraccopoli di Mumbai e ha condotto 
		una vita piena di sofferenze e umiliazioni. Ora Jamal ha dalla sua 
		legioni di fan; ma ha contro Prem, il conduttore della trasmissione, che 
		lo denuncia alla polizia per sospetta truffa. Mentre gli agenti lo 
		interrogano, ricorrendo anche alla tortura, il ragazzo rivive in 
		flashback gli episodi del proprio passato: in ognuno dei quali c' è il 
		motivo per cui Jamal conosce le risposte alle domande del quiz. In 
		flashback lo vediamo privato della madre negli scontri tra musulmani e 
		indù; ridotto schiavo da un malvivente che manda i bambini a mendicare 
		come Oliver Twist; in fuga col fratello Salim e una ragazzina, Latika, 
		di cui resterà per sempre innamorato. L' anima melodrammatica della 
		storia riguarda il fratello divenuto sicario di un bieco gangster, che 
		si è preso come amante la ragazza. Per Jamal rispondere ai quiz non è 
		questione di danaro, ma la condizione per ritrovare il suo amore. Lo 
		sceneggiatore Simon Beaufoy ("Full Monty") è abile a cucire in un tutto 
		coerente gli episodi del best-seller da cui il film è ricavato; quanto a 
		Danny Boyle, l' eclettico e dotato ("Trainspotting", "28 giorni dopo") 
		regista britannico ha buon fiuto e deve aver subodorato immediatamente 
		che la patetica e romantica storia di Jamal era destinata al successo. 
		Ben ritmato e appassionante, The Millionaire è anche un film astuto, 
		smaliziato per come usa ingredienti di sicura presa, ma niente affatto 
		banale. A noi occidentali restituisce un' immagine del "miracolo" 
		indiano più articolata e convincente delle versioni correnti nei media: 
		una dimensione dove improvvise fortune coabitano con la più tetra 
		povertà e l' euforia del mercato senza regole va producendo danni 
		irreversibili. Quanto all' accogliente metafora di "Chi vuol esser 
		milionario", conosciamo da tempo il fenomeno dell' identificazione di 
		tante persone nei quiz che dispensano denaro, rito di speranza e 
		riscatto per chi dalla vita ha ricevuto molto poco. Non l' abbiamo mai 
		percepita con tanta evidenza, però, come qui, dove i telespettatori 
		adoranti sono i veri dannati della Terra, prigionieri di un' esistenza 
		di miseria e disperazione. |  |  | 
	
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		Fabio Ferzetti - 
		Il Messaggero, 5 dicembre 2008     Una strepitosa 
		commedia francese tutta eccessi ed eccentricità (Racconto di Natale). 
		Una commedia inglese acida e zuccherina, ilare e inquieta, come i single 
		e gli scoppiati che la popolano (La felicità porta fortuna). Uno dei più 
		bei film venuti dall'America dopo l'11 settembre (L'ospite inatteso). E 
		un toccante Quattrocento colpi al femminile che rievoca la prima 
		adolescenza della regista facendone una chiave d'accesso alla coscienza 
		e alla vocazione artistica (Stella).Non è il grande cinema d'autore che manca quest'anno a Natale. Speriamo 
		solo che il grande pubblico premi titoli davvero eccezionali, troppo 
		spesso considerati di nicchia. Fra i quali spicca, perché più facile e 
		spettacolare ma non meno interessante, The Millionnaire di Danny Boyle. 
		Capofila di un Occidente sempre più sedotto non dall'India millenaria ma 
		dal suo cinema esagerato e rutilante nel quale si ritrovano tutti gli 
		elementi dei grandi mélo di una volta, riattualizzati dallo sviluppo 
		selvaggio del subcontinente indiano e dalle mostruose contraddizioni 
		delle sue megalopoli. Ieri insomma la Londra di Dickens (o la Parigi di 
		Eugène Sue), oggi la Mumbai di The Millionnaire. Dove può accadere che 
		un piccolo "intoccabile" cresciuto nelle baraccopoli diventi ricchissimo 
		partecipando al quiz tv "Chi vuol esser milionario?" (format 
		internazionale + contesto esotico: cosa volere di più?). Difficile però 
		accettare che il miserabile Jamal, ragazzo del tè in un call center 
		(altro elemento esotico e familiare), possa conoscere le risposte a 
		tutte quelle domande che mescolano astutamente mitologie locali e 
		cultura pop occidentale.
 Così il potente presentatore del quiz lo fa sequestrare e torturare 
		dalla polizia (potere poliziesco e potere televisivo: altra accoppiata 
		diffusa di questi tempi). E mentre lui risponde, la sua storia 
		incredibile scorre impetuosa sotto i nostri occhi. Dall'infanzia, libera 
		se non spensierata, nei vicoli di Bombay (poi Mumbai) alla morte della 
		madre, uccisa in un'incursione di fanatici islamici. Dai giochi nelle 
		discariche al reclutamento forzato in un'organizzazione che manda i 
		ragazzini a cantare ed elemosinare (storpiando e accecando i meno 
		intonati). Dalla fuga avventurosa sui treni che attraversano il paese, 
		all'adolescenza paracriminale (il fratello, un duro, fa carriera). Tutto 
		inseguendo la piccola Latiqa, salvata e perduta da bambina, e ritrovata 
		adulta amante del boss. Con un gusto del mitico e del favoloso che rende 
		davvero irresistibile questo concentrato di mille vite, virandolo in 
		chiave quasi di commedia.
 E genera diverse scene indimenticabili: su tutte l'impossibile incontro 
		del piccolo Jamal, appena caduto in un pozzo nero, col divo più famoso 
		di Bollywood, il leggendario Amithab Bachchan (l'oro e la merda: altri 
		simboli universali). L'India è il nostro passato, si dice di solito. 
		Chissà che non sia anche il nostro futuro.
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		|  |  |    
		Alberto Castellano -Il Mattino, 6 
		dicembre 2008    Danny Boyle, 
		regista inglese segnalatosi nel 1996 con «Trainspotting», ha abbandonato 
		temporaneamente l'Inghilterra per esplorare con il suo sguardo originale 
		e trasgressivo l'India e in particolare Mumbai, teatro di recente di un 
		sanguinoso attacco terroristico. Per raccontare la fragilità e le 
		illusioni del sogno di diventare ricchi, alimentato da facili tentazioni 
		e seduzioni mediatiche, Boyle ha pensato di mettere in cortocircuito le 
		contraddizioni macroscopiche di una delle potenze economiche emergenti. 
		«The Millionaire» parte da «chi vuol essere milionario?», quiz 
		televisivo popolare in tutto il mondo (in Italia lo conduce Gerry 
		Scotti) e dal romanzo dello scrittore indiano Vikas Swarup. E racconta 
		una vicenda - paradossale ma al tempo stesso realistica - che dimostra 
		la contagiosa dipendenza da un gioco a premi e il prezzo esistenziale 
		che nascondono i sogni a occhi aperti». Il sognatore di turno, uno dei 
		tanti il cui destino può cambiare in una sera grazie alle giuste 
		risposte date alle domande di un quiz, è il ventenne cameriere Jamal, 
		nato e cresciuto nei bassifondi di Bombay e rimasto orfano da bambino. 
		Il giovane nella sua turbolenta vita ha vagabondato con il fratello e ha 
		avuto a che fare con gangster, criminali e sfruttatori. Quando risponde 
		correttamente alle 11 domande del gioco, nessuno crede che un ragazzo 
		povero e senza istruzione sia capace di tanto, al punto che viene 
		arrestato e picchiato dalla polizia perché sospettato di essere un 
		impostore. In realtà, ogni argomento del quiz è legato a qualche 
		episodio della sua vita, che viene rievocato in flashback appena la 
		domanda del conduttore innesca in lui il ricordo. L'avventura del 
		concorrente consente, quindi, a Boyle di descrivere la povertà dei 
		bambini delle baraccopoli di Mumbai, la miseria che attanaglia una città 
		sovrappopolata, e di prolungare il suo sguardo crudo e visionario su 
		un'umanità drammaticamente globalizzata. Qualcuno ha definito «The 
		Millionaire» una bella favola tra Bollywood e Frank Capra, ma l'autore 
		tiene d'occhio anche il Dickens di «Oliver Twist» e le analisi del 
		grande economista indiano Premio Nobel Amartya Sen sull'altra faccia 
		(quella delle disuguaglianze sociali) del boom economico indiano. |  |  | 
	
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		|  |  | Roberto Silvestri -
		Il Manifesto, 5 dicembre 2008 
		   Tre bimbi (due fratellini e una loro 
		amica) delle periferia senza futuro di Mumbay, orfani dopo un 
		crudelissimo pogrom anti-musulmano, crescono e sopravvivono solo grazie 
		all' università della strada, alla ferocia delle unghie e dei denti, 
		all'indole autovalorizzante e a molta fortuna. In una scena, rubata ai 
		Miserabili, a un loro piccolo collega cavano l'occhio, perché così 
		l'elemosina fa più pietà. A un tratto le strade si dividono: chi entra 
		nella mafia (il fratellino maggiore, subito attratto dalle colt), chi 
		verrà addestrata alla prostituzione di lusso, e chi, come l'eroe del 
		film, generoso, innamorato e coraggioso come un divo di Bollywood, 
		vincerà «Il milionario» lo spettacolo televisivo di prima serata a quiz 
		(ormai è il tormentone planetario obbligatorio) che gli vale 20 milioni 
		di rupie, l'odio eterno del presentatore che cerca in ogni modo - 
		umiliandolo, imbrogliandolo e consegnandolo alla polizia che anche lì ha 
		appreso da Bolzaneto - di sbarazzarsi di chi fà eccessiva ombra. E 
		infine l'amore, sancito da un balletto corale alla stazione del metro, 
		stile Michael Jackson-Bollywood. Infatti il ragazzo risolve, uno dopo 
		l'altro, tutti i quiz del programma e diventa l'«idolo di tutti i 
		disperati dell'India, anche hindu». Conosce ogni risposta (o con astuzia 
		le azzecca) perché le ha apprese, e ad alto costo, on the road: dal nome 
		della più popolare star del cinema a cui strappò l'autografo più 
		impossibile di tutti (nonostante fosse completamente immerso nella 
		merda), a chi è il campione di cricket che ha segnato più punti (il 
		beniamino del boss, che aveva assassinato per amore), al celebre poeta 
		di cui cantava le canzoni più struggenti.... L'uscita in quasi 
		contemporanea del film di Boyle (formalmente meno isterico di 
		Trainspotting) con l'azione militare suicida di Mumbay-Bombay (anche il 
		famoso cinema Metro è stato colpito dai furiosi iconoclasti) è 
		sorprendente, perché anche qui ci si rende conto della grande potenza di 
		fuoco delle organizzazioni mafiose, che avrebbero aiutato i martiri del 
		Kashimir. Bambino e povertà? Certo è un cinebinomio famigerato. Quando 
		la strumentalizzazione dell'infanzia, dalle devastanti potenzialità 
		emotive, diventa il fine e non un mezzo per raccontare una storia. Per 
		fortuna Boyle affida la parte meno sorprendente del film alle avventure 
		dei disperati «senza famiglia». Dopo si affida alla «scala diatonica» 
		ascendente occidentale per tenere in struttura il dramma. Certo, la 
		musica indiana è più libera. Ma siamo nella globalizzazione, bellezza. |  |  | 
	
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		|  |  |    
		Maurizio Porro - Il Corriere della Sera, 
		5 dicembre 2008    Danny Boyle, il 
		regista di Manchester di «Trainspotting» e «Sunshine» fa una mossa d' 
		autore fantascientifica e gira il suo primo film in India, a cavalcioni 
		tra l' estrema povertà e l' esibita ricchezza, e fa centro per la 
		genialità della struttura. «The millionaire» (sarebbe un milionario da 
		slumdog, vita da cani) è un film originale, bifronte, speculare, in cui 
		un ragazzo, umiliato e offeso dalla vita nei peggiori bassifondi di 
		Mumbay, rischia di vincere 20 milioni di rupie a «Chi vuol esser 
		milionario», quiz tv. Jamal è sospettato di truffa, arrestato, e 
		subisce, nell' ordine surreale del montaggio, le domande della polizia e 
		del presentatore. Ogni volta la sua mente, il suo cuore e la sua memoria 
		corrono al passato, agli affetti traditi, all' amore perduto, alla mamma 
		defunta e al fratello che ha scelto altra etica: finché arriva il gong. 
		Scritto da Simon Beaufoy («The full monty»), tratto da «Le 12 domande» 
		di Vikas Swarup (ed. Teadue), il film ha vinto a Toronto il premio del 
		pubblico, sta facendo tutto esaurito in Usa e si mette in prima linea 
		agli Oscar. A tutto questo ora si aggiunge, per destino - era scritto, 
		dice l' ultima scena - la concomitanza della tragedia terrorista a 
		Mumbay e proprio dalla stazione Victoria Terminus, dove è partito l' 
		attentato, è ambientato il balletto finale in stile Bollywood per dire 
		che la vita è tutto un quiz ma merita fiducia. Happy end a suo modo 
		finto, virgolettato che chiude a cerchio una storia che Boyle racconta 
		prima con la rabbia e l' impeto neorealista di chi scopre l' inferno a 
		portata di mano e sguardo, gli slum Dharavi e Juhu, stile «Salaam 
		Bombay», poi s' accomoda negli studi dove la vita è ovattata, virtuale: 
		il denaro corruttore a portata di sogno. Infine si butta, dal trampolino 
		sociale, su Frank Capra dopo aver mostrato un' infanzia da Oliver Twist. 
		I significati stanno dentro gli stili, tutto diventa attuale pure per 
		noi e il cast è di naturale sintonia anche se l' ottimo protagonista Dev 
		Patel è l' unico «immigrato» preso dal serial «Skins» mentre gli altri 
		vengono dalla strada, dai set indiani. |  |  | 
	
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